5 DOMENICA quaresima  anno B5ª DOMENICA DEL TEMPO DI QUARESIMA – anno B

25 Marzo 2012

Che ti posso dire?

            A un passo dalla Pasqua questa è la preghiera di Cristo: “Che potrei dirti, Padre, salvami da quest’ora? Ma se sono giunto qui per questo! Padre glorifica il tuo nome”.

            Arriva la sua ‘ora’ e prega così. Aveva premesso: “Ora l’animo mio è sconvolto”. Giovanni usa quel gioiello del verbo greco tarasso’ che gli amanti del vangelo già conoscono per esempio dalla pagina dei Magi con Erode ‘snervato’, all’Annunciazione con Maria ‘sottosopra’, alla tempesta sul lago con la barca ‘sconquassata’ dalle onde. Si tratta della sensazione di chi è profondamente toccato nella sfera emotiva per una minaccia incombente, una sorta di macigno che all’improvviso ti costringe a venir fuori o a rintanarti. La medicina descrive bene la crescita della tensione emotiva nell’animo umano: parte dallo stato di ansia per il pericolo intercettato e si trasforma in angoscia, quindi in agitazione. Può arrivare fino al panico e persino generare paralisi.

Gesù si trova in questa marea scombussolata dell’animo e che fa?

Prega.

            Il Padre, cerca il Padre.

In questo gli assomigliamo molto o ci somiglia molto. Preghiera e paura sono spesso connesse, anche se la preghiera che nasce dalla paura è un inizio di preghiera, un accenno, qualcosa di ancora imperfetto. Lo aveva fatto già notare ai suoi nella difficile traversata sul lago in bufera: anche lì i discepoli avevano pregato dicendo “Signore, salvaci”, che poteva sembrare un gioiello di altezza spirituale. Gesù ne aveva rivelato la debolezza: “perché avete paura, non avete forse fiducia?”. Che preghiera è la preghiera di chi non si fida?

            E noi, nelle nostre ore?

La preghiera più sorgiva è sempre quella: “Salvaci, stiamo affondando”.

Gesù è Gesù. La sua è una preghiera diversa: “Che devo dire, salvami? No, glorifica!”.

‘Glorifica il tuo nome’ vuol dire: facci vedere chi sei! ‘Gloria’ è un vocabolo che nella lingua ebraica del Signore significava peso, valore, sostanza. La tua gloria è ciò che hai dentro, quello che non si vede ad occhio nudo, di che pasta sei fatto, qual è la tua vera natura…Nel gioco della crosta e della mollica, sarebbe la mollica; nel confronto del visibile e dell’invisibile, sarebbe l’invisibile; nello scarto tra apparenza e realtà, sarebbe realtà. Tra immagine e identità, identità. Chiaro?

            E che può esserci dentro Dio? Quale può essere la sua gloria?

Dio è amore. Si dona, si lascia morire, si sperpera quasi. C’è una frantumazione e uno sbriciolamento che sono la forma del suo rivelarsi. Non si ritrae, non difende la sua integrità. Chi ama non si preserva, si guasta; d’altra parte come si potrebbe amare qualcuno se non in questo perdersi?

            Ci sembra qualcosa di paradossale che solo Dio può fare e che solo Gesù può sentire naturale; in realtà è più normale di quanto pensiamo ed è quello che portiamo in cuore come nostalgia profonda: tu come vorresti essere amato? Che cerchi nelle persone che hai intorno? Che speri di trovare in tuo padre, in tua moglie, nell’amico più intimo? Quello che io cerco è la loro capacità di perdersi per me. Voglio sapere se la persona che amo e a cui sto dando la vita è uno che, all’occorrenza, si farà i fatti suoi pensando a se stesso oppure se lascerà andare il gruzzolo dalle sue mani strette…

            Abbiamo mai veramente amato qualcuno?

Questa è la domanda che il vangelo di oggi ci gira, mentre ci sporge sull’abisso della Pasqua, la storia più bella del mondo, quella che rivela ‘la pasta di Dio’.

            Da poeta qual è, Gesù dice questa cosa scegliendo la storia del chicco di grano che si lascia rompere nella terra per non rimanere solo. Cioè per non essere assurdo. Per rispettare la sua intima tensione che è quella di portare frutto attraverso la cosa di cui tutti abbiamo più paura: l’annientamento. Senza quel salto mai faremmo scoperta della verità più gioiosa: il nulla non esiste per chi si perde. La morte non porta nel nulla. Annientarsi è il modo di trasformarsi e tornare a fiorire.

            Sapremo dire: “Padre, glorifica il tuo nome?” O continueremo sempre a dire l’infantile e istintivo, quasi animalesco, impaurito ‘salvami’?

Prepararsi a Pasqua è disporsi a dire: obbedisco, ti obbedisco perché di te mi fido. Rivela attraverso di me la tua gloria. Se no che Pasqua è? Che vita è?

            Che te ne fai di stare nella Chiesa come l’edera sul muro?

Peggio ancora: che te ne fai di continuare a inseguire esperienze nella Chiesa correndo dietro a ritiri e conferenze, a catechesi e a programmazioni, sempre con l’attitudine di ‘prendere’, mentre la chiave è ‘perdere’?

            Non siamo nati per autoproteggerci e per imbalsamarci il più possibile contro ogni eventualità. Per attendere passivamente e nel terrore che l’ora arrivi e, stringendo i denti, che passi. Che brutta vita! Come chiamarla ‘dono’ una cosa così?

            Scegliere di perdersi e di consumarsi. Scegliere, decidere, chiederlo: la bellezza è iniziata quando qualcuno ha iniziato a scegliere.

            Chissà quei Greci che erano venuti per vedere Gesù…

Avevano assistito al suo ingresso in Gerusalemme e si erano trovati di fronte al fenomeno: volevano conoscere il personaggio. Uno vincente.

Cosa non fa la fama…!

            Ma sono Greci; sanno che i migliori comandano, i migliori, insegnano, i migliori amministrano; la storia è dei vincenti. Vogliono sapere di Gesù. Come si vince?

            Si ritrovano con la storia del chicco di grano.

padre Fabio, guanelliano