Vangelo della Domenica
15ª Domenica Tempo Ordinario – anno B
15 Luglio 2012
Li manda. Ma chi sono?
Questa Domenica la Chiesa ci fa meditare sull’invio dei Dodici in missione.
Quest’invio anche se non è la fase primaria della loro avventura è comunque il fine della loro formazione. Il fine della formazione, di qualunque formazione è la missione.
Ma chi sono costoro? Perché se si salta questo punto il resto risulta poco chiaro. Si tratta di quelli che, pur essendosi staccati dalla folla per seguire Gesù e stare con Lui, al pari della folla non hanno capito, non hanno ancora appreso. Dalla dottrina di Israele essi hanno imparato alcuni dogmi difficili a rompersi: la superiorità degli ebrei sugli altri, una serie di discriminazioni, la condanna dei pagani se non si convertono alla fede di Israele… Nonostante l’annuncio di Gesù restano ancora bloccati nelle loro fissazioni culturali e religiose; allora Gesù li manda perché imparino dall’esperienza quello che l’insegnamento non è riuscito a trasmettere.
Decisiva questa fotografia, che dice una verità essenziale: non si può annunciare il Vangelo comunque, a partire da qualunque tara mentale. C’è una formazione che deve curare la ‘liberazione’ dei missionari: una sorta di guarigione dalle discriminazioni che ogni cultura porta con sé, dai pregiudizi, dai princípi della carne e del sangue. Qualunque educazione e qualunque cultura, mentre apre chiude; crea barriere, fissa paletti: a questi sì, a quelli meno, a quegli altri no. E crea scarti. E crea guerre.
Il Vangelo è Vangelo per tutti e predica anzitutto la fraternità e l’uguaglianza delle genti, la pazzia delle discriminazioni, la relatività di ogni ideologia. Perciò ora vadano, imparino dal contatto con le genti quello che dal messaggio non hanno appreso, nonostante Gesù abbia spiegato e rispiegato, in pubblico e in privato.
C’è una durezza della propria scorza umana che va ‘rotta’ se no che cosa annunciamo? La formazione è il tempo in cui raccorciare la distanza nostra da Cristo e renderci abili ad un apostolato vero, aperto a tutti, con qualunque tipo di frontiera abbattuta.
A fare cosa?
È un invio, ma per fare cosa?
Non si dice di insegnare; non ci sono messaggi da portare né conversioni da chiedere. In pratica li manda ad imparare, non ad istruire. La missione è anzitutto questo: apprendere. Devono cambiare loro, i dodici, non gli altri.
Unico impegno: aprirsi ad ogni persona, senza differenze e senza pregiudizi. Questo contatto li aiuterà nell’apertura di spirito, nella tolleranza e nella ricchezza del pluralismo. Gesù li pensa così i suoi apostoli: umili servitori che imparano a stare al mondo aprendosi a tutti, non talebani del Vangelo.
La missione è anzitutto stabilire un contatto. Infatti alla fine raccomanderà anche che si tratti di vere relazioni, non una sorta di ‘mordi e fuggi’, curando di stare presso le persone dedicando loro del tempo: amici e fratelli, non fattorini veloci o postini anonimi. Chiamati a costruire relazioni, senza ansia e senza fretta.
La lezione?
Se c’è, l’unica lezione da offrire è quella della buona condotta, andando in coppia. Perché il ‘due a due’ esclude la subordinazione e il delirio di autonomia: è molto importante, per Gesù, che i suoi siano relativizzati, ridimensionati, misurati. Questa comunione offerta a tutti, col buon esempio, da sola sarà capace di ‘cacciare gli spiriti immondi’, spiriti della separazione e della divisione. C’è una cosa che rende brutta la vita dell’uomo ed è la separazione; ecco la comunione fraterna dei discepoli ha il potere di dare felice battaglia a questo veleno che ammorba la terra.
Ordini
Colpisce che è la prima volta in cui san Marco parla di ‘ordini’. Senza replica.
E gli ordini, come devono essere, si presentano minuziosi e chiari: senza provviste, anzitutto perché pensare a fare provviste e mantenerle non appartiene al Vangelo; chi è di Cristo vive di fiducia. Non bisogna puntare ad essere ‘autosufficienti’: il Vangelo deve essere servito e annunciato da gente che dipende dagli altri, che è ‘mantenuta’ dalla solidarietà. Torna il tema del ricevere del discepolo: non si è anzitutto chiamati a dare, ma ad accogliere. Il più assoluto disinteresse per profitto e per il vantaggio, neanche ‘a fin di bene’ (una delle più grosse bestemmie dell’apostolato e della vita, con cui si sdoganano imprese puramente commerciali e di interesse). Vanno dai poveri, più sprovvisti dei poveri, non con ‘due tuniche’ come i ricchi, ma con l’unico equipaggiamento del viandante: bastone e sandali.
Il vero discepolo è l’immagine di Gesù viandante, non di un signorotto che conduce vita stanziale attaccato ai suoi beni e munito di ogni sorta di attrezzatura, fosse pure pastorale.
Pensavo: che pessimo organizzatore Gesù. Professionalità pastorale zero!
Entrare in qualsiasi casa, anche se di pagani e di gente disprezzata, considerata impura. Dipendere da essi per la sopravvivenza, senza fissarsi sui tabù alimentari degli ebrei. Imparare a vivere della solidarietà, annunciando soprattutto la fiducia: vedendo che gli altri non ergeranno barriere verso di loro che sono degli sconosciuti li formerà all’amore disinteressato e all’accoglienza dei poveri, che è il cuore del Vangelo.
Questa è la consegna.
Da guanelliano riflettevo sulla passione di don Guanella per gli incurabili. Mi chiedo chi siano gli incurabili del nostro tempo. Perché ‘incurabile’ è un’etichetta, una barriera: con questi non si può far nulla, bisogna lasciarli nel loro brodo. Si perde tempo e fede. Don Guanella e loro. Mi intriga questa domanda e la lascio aperta. Perché è aperta…
padre Fabio, guanelliano