Omelia sul Vangelo
della 28ª Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
13 Ottobre 2013
Il punto che tutto muove: cosa hai nel cuore
Siamo alla nota storia dei dieci lebbrosi, tutti sanati, ma non tutti salvi e bisogna che partiamo dalla scintilla iniziale: cosa ci permette di raccontare questa storia? Qual è l’origine di questo miracolo?
A catechismo, quando eravamo piccoli, si parlava di grazia preveniente. Cerchiamo di dirla in parole semplici: Gesù li ama prima. Contrariamente alla mentalità e alla legge del suo tempo (che li riteneva maledetti, impuri da scansare, perché peccatori castigati) Gesù li accosta, li ascolta, li guarisce. Questa è la prima gemma della storia: saper amare prima, dare fiducia prima che l’altro dia prove, offrire simpatia prima che l’altro possa meritarla. Questa operazione del “prima” fa superare il livello diabolico e scontato delle nostre azioni: si a chi merita e no a chi non merita. L’amore vero è gratis e non ha fini da raggiungere. Diceva il filosofo Romano Guardini che l’amore “è la più sublime mancanza di scopo”. Gesù non ama perchè ha un motivo o un obiettivo da realizzare; l’altro esiste, si presenta e lui solo quello sa dare, perché solo quello ha nel cuore, amore. E noi?
Dove sta la sublimità del gesto di Gesù? Si tratta di lebbrosi,non di gente qualunque. Cioè di gente sola, tenuta a distanza e considerata pericolosa, contagiosa. La relazione tra un lebbroso e il mondo è segnata da un pregiudizio: tu sei tu e noi siamo noi, e per favore non mischiamoci. L’amore dato “prima” non sa di questi pregiudizi, non se ne interessa. La predica di oggi sta tutta sul condizionamento che pesa nei nostri gesti e nelle nostre parole; spesso a muovere tutto è un pregiudizio. E romperlo è complicato, come la divisione dell’atomo. Imparare da Gesù questa libertà di fronte ai pregiudizi, per cui le persone non sono solo quello che si sa di loro; c’è molto di più. Gesù sa vederlo perchè non si ferma alla prima patina. Anzi, non la considera proprio.
Prima lezione di Luca: disinteressati dei pregiudizi, se vuoi amare come Cristo.
La fiducia è il primo passo, ma non è tutto
In fondo questa storia è la storia di un’incongruenza. Partiamo col dire che la legge ebraica prevedeva che l’eventuale guarigione di un lebbroso doveva essere verificata da un sacerdote che ne dichiarava la mondezza e lo riammetteva ufficialmente alla pubblica convivenza.
Gesù dice “andate”, ed essi vanno. Si fidano. Ma vanno da lebbrosi. Un atto inutile e assurdo: cosa diranno al sacerdote se sono ancora lebbrosi? Non potrà dichiarare nulla. Vanno perchè sanno che di quella parola possono fidarsi. E Luca registra questo secondo passo. Su cosa si regge la guarigione? A quale condizione siamo sanati? L’obbedienza.
Il sì a una parola, per quanto incongruente e quasi ridicola, dona ai lebbrosi la guarigione, come un premio alla loro fiducia. La fiducia è la chiave di ogni liberazione, dice il vangelo, al contrario della paura e della diffidenza che danno sempre da mangiare ai sospetti. L’istinto di fiducia che ci portiamo dentro, ma sul quale vince la paura di essere ingannati.Che brutta vita quella di chi vive di sospetti, una tristezza!
Si fidano della parola di Gesù e vanno. Sono guariti mentre vanno. Prima di arrivare. Gli Ebrei avevano nelle orecchie e nella memoria la storia di Naaman il Siro e Gesù stesso l’aveva citata nella Sinagoga di Nazareth: uno straniero che era stato guarito dalla lebbra per aver obbedito a un giochetto abbastanza strano comandato dal profeta Eliseo: andare al Giordano e bagnarsi sette volte. Perché bagnarsi? Perché al Giordano? Perché sette volte? Va e guarisce. In fondo i lebbrosi consideravano Gesù potente come Eliseo, senza sospettare altro. E si fidano.
Seconda lezione di Luca: l’obbedienza alla parola di Gesù ti cambia la vita.
Quello che salva è mantenersi stranieri
Di dieci torna solo uno e Gesù sottolinea che si tratta di uno straniero; dieci guariti, uno solo grato. Uno solo salvato. Che è un annuncio doppio.
Anzitutto dice che la guarigione può avere esiti diversi: gratitudine e ingratitudine. Quante volte lo sperimentiamo nella vita. Fai del bene e quel bene non è visto, non è ri-conosciuto. La gratitudine è una scelta, non una conseguenza scontata e automatica; si può ricevere del bene e il cuore non cambia. La fiducia è il primo passo, ma solo la gratitudine che cerca una relazione è ciò che ci salva; insomma, saper passare dal dono alla mano che te lo ha donato.
E poi dice che alla gratitudine è più predisposto lo straniero. Lo straniero è colui che non si aspetta molto, anzi che sa di non meritare, che entra nelle situazioni in punta di piedi, da imbarazzato quasi. Sorpeso quando riceve attenzione. Grato quando è aiutato.
L’antica tendenza del nostro spirito, quasi invincibile, è entrare da stranieri nelle cose e nel cuore altrui e poi muoverci con disinvoltura, arrivando a quell’abitudine che tutto smonta e scolora. L’abitudine acceca. Nel matrimonio, nel sacerdozio, nell’amicizia, nel bene, nella preghiera.
Non è un caso che la nostra vita sia precaria, che spesso i beni preziosi siano in bilico, che la terra ci frani a volte sotto i piedi. Senza questa insicurezza di fondo ci muoveremmeo sempre e solo con la spavalderia dei saccenti e degli onnipotenti. Dio, nella sua Provvidenza, ha previsto la nostra precarietà come una porta che si affaccia sul suo mistero, quasi una chiave di accesso e di entrata nella sua bontà. Alla fine la morte.
Terza lezione di Luca: meglio restare stranieri di fronte alla vita, di fronte a Dio, di fronte al Paradiso.
Non sfugga un’ultima perla
Gesù li aveva mandati da lebbrosi. Li manda e poi li guarisce, non li guarisce e poi li manda. Quelli che Cristo manda, lebbrosi sono, non sani. È la missione che li guarisce. Siamo noi i lebbrosi che Cristo ha mandato. Il mondo poi verificherà la nostra guarigione. Ma non potrà darci la salvezza; quella viene dal ritorno ai piedi di Cristo, dalla profondità del nostro sguardo grato, incrociato col suo.
Quarta ed ultima lezione di Luca: non sei tu quel lebbroso? Sei tornato?
padre Fabio, guanelliano