VANGELO E OMELIA DELLA DOMENICA

XXIX-ANNOB29ª Domenica del Tempo Ordinario – anno B

21 Ottobre 2012

 

Il gioco degli equivoci

Il Vangelo di Marco che stiamo leggendo in quest’anno ci mette più volte di fronte ad una sorpresa, quasi ad un gioco, presentato con una certa ironia: oggetto unico dell’insegnamento di Gesù è l’offerta della propria vita interpretata e vissuta come la vivrebbe un servo che esiste perché gli altri stiano bene; oggetto unico dei discorsi e delle pretese dei suoi discepoli è l’ambizione di occupare posti di riguardo dai quali esercitare un potere qualunque sia.
Ed è il gioco degli equivoci.

Che questa Domenica tocca il paradosso: due del gruppo si presentano a Gesù con una richiesta che è quasi l’emblema della preghiera distorta. Gesù ha insegnato loro il ‘Padre nostro’ che aiuta chi lo prega a cercare ed entrare nella volontà del Padre; qui loro avanzano la pretesa che sia Dio ad esaudire i loro desideri. Come dirigersi a un idolo, perché ci accontenti e risponda alle nostre pulsioni prime-prime. E le parole del Maestro sul servo, sul servizio? Cadute nel vuoto.
Una storia che merita di essere letta perché in quelle preghiere distorte siamo entrati mille volte, chiedendo a Dio l’assurdo, pur di appagare il nostro cuore in tilt.

La soglia

Gesù come reagisce? Approfitta di quello che c’è, entra per la porta che noi lasciamo aperta e di lì comincia o ri-comincia la sua scuola, di solito ‘ripetendo’. Quale grazia ci sia nel ‘ripetere’ e come reagiscano le persone di fronte alle ripetizioni lo racconta bene il nostro impareggiabile Collodi col suo Pinocchio: all’inizio “canta pure grillo mio, come ti pare e ti piace”, poi “chètati grillaccio del mal augurio”, per passare a “guai a te grillaccio” e ucciderlo con una martellata. Solo più tardi dirà “il grillo aveva ragione” e gli parlerà dicendo “mio caro grillino”. Lungo tutta la storia Collodi registra: “il grillo che era paziente...invece di aversela a male per quella impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce”. Amare è ripetere; ripetere è amare, pazientemente.
Gesù parte dal desiderio espresso: va purificato, ma quello è…
Gesù sa che chi ha certi desideri e li coltiva firma la sua condanna. Quante volte i nostri desideri, inseguiti, ci hanno rovinato la vita! A Giacomo e Giovanni lo dirà chiaro: “non sapete quello che chiedete”. Di desideri ne abbiamo troppi e spesso si contraddicono; essendo molti càpita poi che alcuni secondari diventino preponderanti e ci minacciano.
Partire da quello che c’è; e questo c’è nel loro cuore, l’ambizione del successo, cavalcando l’onda di gloria di Gesù. Ma c’è una soglia da varcare e Gesù glielo annuncia parlandogli di coppa da bere e di acque che sommergono. Siete disposti? Siete capaci? Nella lingua spagnola, che sto imparando ad apprezzare, questo “bere il calice e farsi battezzare” è simpaticamente tradotto con: “pasar el trago”, cioè attraversare il momento, assumere l’impatto. Allora, siete capaci? Sì, siamo capaci!
Certo. Come i bambini che non sanno cosa li aspetta, alla leggera, accecati dal desiderio ambizioso al quale sacrificano tutto e per soddisfare il quale tutto farebbero. Alle porte è ‘la soglia’: quella di Gesù, quella nostra, quella di tutti: la realtà, il trauma della realtà.
Uno entra nel matrimonio, un altro diventa prete, c’è chi diventa padre o madre, qualcuno si apre ad un’amicizia, altri si imbarcano in un’avventura: tutta gente che si affaccia portando desideri e aspirazioni nel cuore. Cosa resta in piedi all’impatto con la realtà? Ecco così si purificano i desideri, scontrandosi con le vicende della strada. E chi le accoglie come piano di Dio impara a crescere. Alla fine, forse, si trova dall’altra parte precisamente all’opposto di dove si sentiva attratto, o magari un po’ più in là.
Varcata la soglia, laddove i desideri perdono le scorie e si puliscono, molti pensano di essersi sbagliati -forse non era questo il mio percorso- e passano la vita a cambiare percorsi, accatastando situazioni spezzate, lasciate a metà. Chiaro, la soglia è inevitabile. E la soglia fa il suo lavoro: non si passa con qualunque cosa.                                  

Ma verso dove?

Ci sarà pure un punto dove Dio vuole portarci. Se una purificazione avviene ci deve essere un ‘nocciolo’ che resta integro all’impatto con le prove; insomma qual è la lezione che l’uomo apprende, se vuole, bevendo al calice del piano di Dio e sotto l’urto delle acque che sommergono?
Servire. L’onore di servire, la dignità e la fortuna del servo.
Ecco Gesù che raccoglie i suoi e ripete la lezione. Quella di sempre. Cose che suonano strampalate e inammissibili alle orecchie dei discepoli: ma come fa ad essere ‘primo’ chi serve e come fa ad esser ‘grande’ uno schiavo?
A questo mondo dice Gesù, voi lo sapete, c’è chi domina e chi è dominato e lo sapete come funziona, conoscete bene il linguaggio del potere: ecco voi quel modello lì ve lo portate addosso, dentro, come un codice impresso. Ma se volete stare con me “tra voi non sia così!”. Impensieritevi ogni volta che vi accorgerete di vivere in quel modo. Noi portiamo una cosa nuova nel mondo; noi viviamo per ‘riscattare’ chi sta sotto il dominio dei capi di questo mondo.
Servire gli altri è il nostro modo di riscattarli. Toccherebbe a te? Mi ci metto io. Non ce la fai, è troppo per te? Ti prendo in carico, mi faccio carico di te e così ti riscatto organizzando tutta la mia vita per questo carico di cui avere cura.
Non c’è scampo, dice Cristo. O la vita la si pensa così oppure si assomiglia ai piccoli capetti di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che vivono per avere profitto e trovare vantaggio. Questi, anche nelle cose più sante, vivono per sé. Come faranno ad amare? Impossibile: chi esiste per dare da mangiare alle sue ambizioni non saprà mai stare in una relazione che dica amore; cercherà sempre, prima o poi, di approfittarne a suo vantaggio.
Volete un segno? Volete il segno.
Regalare la propria vita, essere capaci di spenderla tutta: questa è la prova che la vita è nostra. Non potremmo mai regalare quello che non è nostro. E la paura che abbiamo a regalare la vita è il segno che non la possediamo, che forse è lei a possedere noi.
Passare dal farsi servire al servire. Il cammino di una vita. Bevendo il calice…

 padre Fabio, guanelliano