XVI-annoBVangelo della Domenica

16ª Domenica del Tempo Ordinario – anno B
22 Luglio 2012

Tornano e raccontano

Domenica scorsa abbiamo meditato l’invio in missione; oggi il ritorno, con la narrazione individuale di ciò che è capitato. Sono i due movimenti che fanno completa ogni missione: andare carichi solo dell’essere stati con Gesù, senza troppa attenzione all’equipaggiamento e senza alcun interesse al profitto; e tornare per raccontare il vissuto. Sono i due polmoni della missione per i servitori del Vangelo, partire e rientrare. Cosa che dice l’esistenza di un centro. La missione ha un centro; partire ‘da’ Gesù e tornare ‘a’ Gesù. La missione di essere padre, madre, sposo, discepolo…

Da Gesù a Gesù. Senza questo centro ‘da cui’ e ‘verso cui’ c’è il girare a vuoto. Interessante il particolare del ‘raccontare’ ciò che si è fatto. Rendere conto e narrare: questo aiuta ad oggettivare se stessi, senza gonfiature, lontani dall’effetto alone dell’entusiasmo o del disprezzo. Solo il distacco ‘verifica’ la realtà delle cose.
Ma non un raccontare qualunque. Il raccontare a Cristo.
Perché c’è il raccontare agli altri che può degenerare e il raccontare a se stessi che può illudere. Il racconto a Cristo ci salva dall’illusione e dalla vanità; finché le tue cose di missione le racconti a te stesso e agli altri riesci sempre a salvarti e a giustificarti oppure a deprimerti e colpevolizzarti. Le racconti a lui ed è guarigione: perché lui consola e rettifica.

Perché li vuole con sé, in disparte

Davvero unica questa fotografia di Cristo che vuole restare solo con i suoi. C’è una liberazione da effettuare: dalla tirannia del non avere tempo, dall’entusiasmo che l’attività genera, dove una cosa ne chiama un’altra e danno l’impressione di ‘riempire’. Non capite, sembra dire il Maestro?
Non ricordano di Giovanni il Battista, non ricordano neppure dello stesso Maestro: non ricordano che l’entusiasmo acceca. Gesù chiede loro il riposo per salvarli dalla schiavitù dell’euforia. Che brutta bestia l’euforia! Una corrente che sposta, ma che è come l’altalena; ti agita e non ti muove. Sei sempre lì.
Interrompere l’euforia, a questo serve il riposo con Cristo. Ma che riposo è?
A prima vista dà l’impressione di una promessa non mantenuta: arrivano nel luogo solitario e lì vengono assaliti di nuovo. Quindi una promessa che non tiene: perché li porta a staccare se poi non glielo può offrire il riposo?
Più avanti si dirà che in quel luogo, seduti sull’erba, avviene il miracolo dei pani e  della loro sazietà. Intanto accenna che Cristo non sa resistere, perché si commuove al vederli. Ecco il riposo vero: il dono della sua compassione e poi il banchetto, preludio dell’Eucaristia. Questo è il riposo del discepolo e della comunità dei credenti: la bontà di Cristo e la sua generosità, l’attitudine al dono.

Commosso per le pecore senza pastore

Il riposo serve anche ad un’altra ossessione: considerare la missione una cosa propria. La missione è di Cristo; tu lo aiuti, ma non è roba tua. Non ti appartiene e, se non ci stai attento, rischia persino di ‘separarti’ da Cristo. Te ne appropri, come fosse un’azienda a conduzione tua. E che pastore diventi?
“Erano come pecore senza pastore”.
Ma come? Se era pieno di sinagoghe e di pastori! Sì, ma che pastori? Nella liturgia di oggi il filo sottile che tutto regge è il dramma di pastori che hanno male interpretato la loro posizione e il popolo ne risulta disorientato.
Non ha senso appropriarsi della storia che Dio ci ha affidati. Non è roba nostra. Va riconsegnata.
Ci siamo dentro tutti, con le nostre piccole o grandi meschinità e il problema è detto alla radice: qualunque servizio non nasce dalla compassione si trasforma in altro e diventa esibizione di sé e dimostrazione di potere. E Cristo si commuove per le sue pecore sbandate che nessuno guida. “Venivano a lui da ogni villaggio di Israele”; cioè da ogni luogo con una sinagoga, dei sacerdoti, dei maestri…
Ce li hanno ma non servono. E cercano quello vero, lì dove si offre.

                                                                                                                   padre Fabio, guanelliano