7ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno B
19 Febbraio 2012
Chi può il di più può anche il di meno
Gesù torna a Cafarnao e la gente non ha dimenticato la sua potenza; lo ha cercato a lungo, ma egli si teneva in disparte. Ora, saputo che è nella casa di Pietro per predicare, mossi dalla certezza di trovare attenzione e guarigione, fanno l’inaudito. Scavalcano la folla che fa da muro calando un paralitico dal tetto della casa. Facile per i tetti di allora, ma certamente non abituale. Che dice?
Certe porte non è facile attraversarle. Per arrivare a Dio a volte bisogna prendere altre strade, trovare altre porte; quelle abituali non sono più praticabili. Soprattutto: se ormai sei ‘paralizzato’, o ti portano altri o non ci arrivi.
Due temi importanti in questa Parola di oggi: i portatori e il buco dal tetto. Càpita che non ce la fai da solo a raggiungere il Signore e càpita che le solite porte non vadano bene; hai bisogni di essere trasportato da chi ha più fede di te e che ti si porti per altre entrate, magari rischiose e insolite.
Di fatto Gesù, dice il Vangelo, “vista la loro fede…”. La loro di chi? Dei portatori, appunto. Fede di altri che mi portano quando la mia non c’è, dorme, è bloccata.
Che bello che questo desiderio ostinato di avvicinarsi al Signore sia già fede! Che la fede sia già questo capriccio sano di arrivargli di fronte, superando qualunque ostacolo; a volte superando il ‘monopolio’ che da sempre certa gente e certi gruppi esercitano su Gesù ‘tutto loro’.
Domenica scorsa il Signore Gesù era alle prese con la malattia che devasta il corpo, la lebbra, immagine di tutte le malattie incolpevoli che emarginano e ci rendono dei ‘morti ambulanti’, perché la lebbra cos’è se non una morte in corpo che si prende il suo spazio? Gesù ci è stato presentato come colui che toglie terreno alla morte in cammino nelle nostre esistenze. Lui la tocca e lei arretra. Quando lui tocca, lei perde spazio.
Oggi il Signore Gesù ci è offerto come colui che guarisce da una lebbra più devastante e meno vistosa, sotterranea ma micidiale, che devasta l’interno dell’uomo: il suo peccato. Esperienza quotidiana: quando stai male per colpa altrui, hai ancora la vivacità di reagire e di colpire, con la forza di ribellarti e di uscirne, ma quando stai male per colpa del tuo peccato allora sei bloccato. È lo scacco matto della sofferenza dei colpevoli, che neppure Gesù conosce: lui ha sofferto, ma da innocente. Che ne sa di quanto sta male chi sta male per colpa propria? Un male che ti inchioda e ti blocca, così acuto che se non ti portano altri verso la salvezza resti lì…sul lettuccio delle tue miserie.
Due mali, quello che subisci e quello che ti sei dato da solo.
Qual è il più grave? Qual è quello insanabile? Ecco l’intervento di Cristo; comincia a sanare quello più grave, perché sempre si comincia dalle priorità: a che servirebbe avere un corpo sano e un cuore malato? Quanta gente, pur avendo il corpo malato, ha potuto fare meraviglie perché il suo cuore era libero? Un cuore è libero quando è perdonato. Chi è veramente paralitico e immobile forse deve ancora essere perdonato e Gesù sa trattare bene quel materiale che sono i nostri peccati; morirà perché siano trasformati in opportunità. Lui non li sposta i nostri peccati, come certi maestri delle scienze dell’anima che cercano cause e responsabilità del mio male nei miei genitori o in altri presunti colpevoli. Questo è ‘spostare’ non ‘sanare’…
Gesù è venuto per sanare e inizia dal di più; il di meno sì, ma dopo. Perché anche i liberati capiscano che c’è una falla da cui esce tutto il male del mondo: il cuore dell’uomo. Prima chiudere quella, poi si pensa ai buchi minori. Perché quando un essere umano è perdonato è in piedi, magari debole, ma in piedi, restituito alla possibilità di camminare e alla gioia di ricominciare.
C’è un passato di ingiustizia che pesa su di me e mi rende inabile, paralitico. Eppure basta poco per venirne fuori. Lo desidero? La Sua parola basta…Se ci credo…
Hanno ragione i mormoratori: “Chi si crede di essere? Solo Dio può perdonare i peccati”. L’hanno detto loro. Solo Dio. Da chi siamo andati finora per guarire?
Passeranno i secoli. Nessuno scalfirà mai la potenza nuova che viene da quel verbo greco meraviglioso che parla dei peccati “rimessi”. Aphìentai in greco, che vuol dire cancellare, annullare, togliere la nota negativa dall’incartamento, svincolare. Questo fare amnistia di Dio è la sua dichiarazione di rinuncia alla vendetta. E non è gioia questa? Sapere che Lui, almeno Lui, cancella il mio nome dalla lista dei debitori…
E nessuno ci darà mai una gloria più grande di quella che viene dal fare l’opera di Dio: perdonare. In un mondo di paralitici possiamo rialzarne alcuni. Dipende da noi.
padre Fabio, guanelliano