6 DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  anno B6ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno B

12 Febbraio 2012

Lo toccò

            Mettiamo subito all’inizio il gesto che tutto spiega.

Una cosa non poteva fare Gesù in quelle condizioni: toccare. E lo fa. Che significa? Siamo di fronte ad un atto di insolenza (etimologicamente insolenza è in-solere, cioè fare qualcosa di non abituale). Questa è la chiave per capire il brano: la non ordinarietà come prassi di Gesù, il suo agire in modo inconsueto.

            Fissiamo la cornice e il quadro.

La cornice: Gesù aveva predicato a Cafarnao, ma i suoi seguaci e la gente rischiavano di fraintenderlo, perché sull’onda del successo ottenuto dal suo insegnamento, volevano farne un leader. C’era da instaurare il Regno -lo sentivano sempre parlare di questo Regno- e stavano predisponendosi alla rivolta armata. Gesù è costretto a fuggire dalla fama che lo sta raggiungendo e che lo spinge verso questa direzione equivoca. Deve cambiare tattica e salire di livello: aveva iniziato a predicare legandosi alla tradizione dei suoi interlocutori; ora non basta più insegnare reinterpretando le antiche Scritture. Va subito lanciata l’alternativa. Ecco il quadro: sono necessari segni di rottura che dicano la ‘novità’. Così che Gesù entra ancora nelle sinagoghe e di nuovo opera una guarigione, ma questa volta opera su un lebbroso, un intoccabile. Come? Toccandolo.

Con questo gesto Gesù annulla il fondamento teologico dell’impurità e ci avvisa sulla gravità di porre le persone in stato di isolamento e di oppressione.

            Questo è un primo punto importante per la nostra verifica: arriva l’ora in cui solo attraverso una certa ‘insolenza’ possiamo dire la novità di cui siamo apostoli: più avanti lo dirà Gesù stesso, con la storia del vino nuovo in otri nuovi e del pericoloso rattoppo di stoffa nuova sul panno vecchio, che guasta nuovo e vecchio. Dare segni di rottura: ’insolenza di fare quello che nessuno fa e di dire quello che nessuno dice.

            La religione ufficiale -come sempre è capitato lungo il cammino umano- ponendo paletti discrimina: tu si, tu no; questi possono, questi altri no; questi sono degni, quelli non lo sono. Più un’esperienza religiosa cresce nel tempo, più nitide si fanno le forme di demarcazione e quindi di esclusione. Anche allora molte categorie erano escluse dal culto e dalla preghiera ufficiale della comunità, o per il mestiere, o per il censo o per l’appartenenza a realtà di vario tipo o anche per scelte di vita sbagliate. A costoro era interdetta la relazione con Dio e la comunicazione con gli uomini. Fuori…!

            Il lebbroso è immagine di tutte le possibili e-marginazioni (cioè di coloro che, fissato un margine, non ci rientrano). Gesù in questa seconda fase del suo predicare sembra voler annunciare così la buona notizia: il primo segno del Regno del Padre è la totale abolizione di ogni margine e, qualora fosse necessario, questa apertura va realizzata anche attraverso atti di vera e propria ‘trasgressione’ rispetto alle norme. Un giudeo qualsiasi si sarebbe tirato indietro con orrore, Gesù stende la mano.

            La predica di oggi mi pare stare tutta in questa azione liberatrice del Signore: aprire gli orizzonti per suscitare nei fratelli isolati uno spirito critico nei confronti della loro situazione e il desiderio di cambiare. Il desiderio c’è: il lebbroso va da Gesù di sua iniziativa e lo supplica -si noti, è la prima volta che capita. Non si permette di toccarlo, si mette in ginocchio forse per evitare di essere punito per aver tanto osato; è anche capace di pregare: “se tu vuoi, puoi”. C’è tutto in questi due verbi: fiducia, abbandono, speranza, disperazione, fermezza. Un piccolo trattato di preghiera cristiana in due parole: se vuoi, puoi. È il frutto di un soffrire diventato preghiera, un miracolo, perché non tutte le prove maturano in preghiera…mentre ogni preghiera nasce sì dal senso della morte che ti senti addosso e da cui vuoi essere riscattato.

            L’effetto della preghiera di quel miserabile nessuno è clamoroso: Marco registra l’impatto su Gesù. “Commosso…”, stese la mano e lo toccò. Commosso. Ovviamente la commozione non nasce magicamente solo per le parole del lebbroso: magari le avrà già pronunciate altre volte, con altre persone. La commozione scatta solo in un caso: quando hai deciso che tutti sono tuoi, che tu sei di tutti e per tutti, perché tu sei ‘figlio’ e il Padre ha altri fratelli. E ha mandato te per loro. Nessuno è fuori dall’essere figlio. Questa è la sconvolgente notizia del Vangelo. Che, per essere nuova, è anzitutto bella. La commozione di Gesù rompe la distinzione tra puro e impuro, consacrata dalla Legge; per Dio non ha valore. Alcuno. E una Legge così va disattesa, semplicemente.

            Una domanda: a proposito di ‘estromessi’.

Ho la sensazione che obbediamo alla parola del Vangelo solo per metà, nei casi migliori; cioè di fronte a comportamenti che ci paiono ‘fuori dai paletti’ ci limitiamo a non rifiutare le persone implicate. Ma non rifiutare è solo una parte della missione; a noi è chiesto di ‘toccare’ e di ristabilire nell’abbraccio i radiati di ogni tipo.

            Guai a inculcare l’idea di un Dio discriminatore…

Un Dio commosso. Che guarisce con la sua commozione, perché la vera purificazione del lebbroso è quel restare di Cristo davanti a Lui senza scappare. Questo lo sana. Ripenso a tutte le volte in cui, anche solo nel linguaggio, ho parlato di vicini e di lontani o di praticanti e non praticanti. Credenti e non credenti.

Lontani da chi? Non da Dio. Lui solo figli conosce.

Persino me; ancora mi tratta da figlio…

 

padre Fabio, guanelliano