Gesu e Apostoli chiamata3ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno B
22 Gennaio 2012


Subito

    Anche al lettore più distratto farebbe impressione quel ‘subito’ che si ripete a ritornello nel Vangelo di Marco, perché è uno dei motivi del più antico Vangelo della Chiesa: l’irresistibilità del Signore Gesù e delle sue chiamate. In pratica: quando si tratta di Lui e di un suo appello si è inchiodati e dire di si è l’unica alternativa.
    Allora la libertà?
Qui non c’entra: non si tratta di cedere perché si è deboli, limitati e tutte le altre cose che mettiamo in ballo per tappare il buco. L’irresistibilità è data dalla sua bellezza, non dalla nostra impotenza. Come si fa a resistergli? Questo è il punto.
    Che ne è della libertà umana di fronte al sublime?
E il sublime qui è dato dall’aver finalmente ‘trovato’ quello che si cercava; quando mai capitano certe fortune? Cerchi una cosa e ne arriva un’altra, molto spesso; ma quando ti si offre quello che segretamente corrisponde alle tue attese di sempre che fai, ci pensi pure?
    Cristo chiama e ‘subito’ lasciano; guarda e ‘subito’ seguono.
Storicamente, soprattutto conoscendo i tipi, possiamo immaginare che le cose non siano andate proprio così. Immaginiamoci un Pietro. E senza troppo immaginare, un giorno glielo chiese proprio: “Noi che abbiamo lasciato tutto per te, che cosa avremo in cambio…?”. Quattro conti, la paura di prendere una cantonata e sprecarsi…
    Quel ‘subito’ non è storico. Non vuol dire: andò proprio così.
Quel ‘subito’ è teologico: puoi dimenarti quanto vuoi, tanto alla fine cedi davanti a Lui.

    Il Vangelo di Marco era il manuale di catechismo di chi si preparava a diventare cristiano e con quattro pennellate magistrali in questi pochi versi dice già ai futuri battezzandi “di che si tratta”. E questo serve a tutti.
Di che si tratta quando parliamo di ‘vita cristiana’? In che consiste? Quali sono gli imprescindibili di questa esistenza?
In altre parole: uno vuole convertirsi a Cristo. Che fa?
    Quattro punti fermi, da duemila anni e più.
Primo: sei raggiunto da un appello. Non è, anzitutto, uno sforzo tuo premiato. Nessuno può dire “ce la metto tutta”; ‘credere’ è una proposta che ti si offre, da fuori, da altri che hanno sentito e visto.
Secondo: il sì a Cristo presenta una nota di ‘urgenza’, come di fronte alle grandi occasioni: prendere o lasciare. E se lasci che perdi? Il tuo destino, ovviamente. Differire e temporeggiare sono le due grandi scappatoie perché sono un mezzo sì e un mezzo no. E sono i due peccati più imperdonabili perché rivelano un’autodifesa sciocca; tanto tu non sei tuo -lo capirai una buona volta?- o dici sì a Lui oppure a chi ti offri? Interessante sarebbe uno studio sul ‘delirio’ di chi crede di spiegarsi da sé: questa è la mia vita, non mi do a nessuno. Perché l’esistere è una domanda, non una risposta: nessuno si spiega da sé, la risposta all’enigma della vita ti è data. E questa di Cristo è una. Ti va? Però muoviti…perché sarebbe delirio anche passare tutto il tempo a valutare opzioni nel becero egoismo di chi non decide. I bambini dicono sempre: non ora, domani. A parte che potrebbe non esserci questo ‘domani’. Ma poi si tratta di un appuntamento, se arrivi tardi rischi di non trovarlo più…
Terzo: dopo il sì, il no. Inevitabilmente. La conversione ha questi due movimenti essenziali e dipendenti tra loro. Dico di sì a…e quindi dico no a… Mi abbraccio a e mi distolgo da… Adesione e distanza. Non il contrario, che sarebbe disumano e sciocco. Chi può dire un no per un no? È tutto così bello e seducente in questa creazione magnifica del buon Dio! Ecco qui si inserisce il tema fatidico del ‘peccato’: peccato è aver detto ‘sì’ e non aver ancora avuto la forza e il coraggio di dire i ‘no’. Capita a tutti. Perdonaci, Signore. A dirti sì non facciamo grande fatica; a distaccarci è durissima.
Incanta sempre ciò che  San Benedetto faceva promettere ai monaci nel noviziato: la stabilità, l’obbedienza e la “conversio morum”, cioè la conversione permanente, l’attitudine continua di adattare la propria forma di vita alla compagnia di Cristo; facevano in pratica il voto di obbedienza, di stabilità e di conversione quotidiana.
Quarto: dietro a lui. Letteralmente il verbo greco ‘acolutheo’ da cui viene la parola italiana ‘accolito’ che significa: colui che va dietro dietro, passo passo. Dagli ‘ordines romani’ apprendiamo una notizia che rende l’idea circa la funzione degli accoliti: quando il Papa doveva recarsi in un quartiere di Roma per pontificare, montava sul cavallo portando il Sacro Crisma e dietro andavano appunto ‘gli accoliti’ portando il corporale, la borsa e tutte le cose necessarie alla celebrazione e alla persona del Papa. Due elementi: la vita cristiana è la decisione di far parte del suo seguito, realizzata soprattutto nella forma della condivisione, cioè nel condurre la stessa vita. Andare dove va Lui, semplicemente.
La forma? Quella dei…portaborse. Odiatissimo e ridicolizzato ruolo, reso più goffo dalla abituale, ipocrita, anonima personalità dei soggetti che lo incarnano; il nostro Fondatore, San Luigi Guanella, lo riteneva il colpo di fortuna della sua vita, essere il facchino di Dio, il burattino della Provvidenza, come diceva lui.
Stranezze dei santi…

padre Fabio, guanelliano