VANGELO DELLA DOMENICA
2ª Domenica del Tempo di Quaresima – anno C
24 Febbraio 2013
Quando cerchi una cosa e ne arriva un’altra
Non ci sono dubbi nel Vangelo di Luca: “salí sul monte a pregare”. Gesú cerca, come altre volte, uno stacco; l’intenzione é la preghiera. Quello che poi avviene é il frutto della preghiera: “e avvenne che mentre pregava il suo volto cambió d’aspetto e la sua veste divenne candida e splendente”. Interessante l’aggettivo splendente: in greco dice “come fulmini che scaricano luce”. Insomma Gesú si incendió, si accese.
Cerchiamo una ricostruzione.
Perché la Chiesa nella seconda Domenica di Quaresima ci offre sempre in pasto questo testo antico e solenne della Trasfigurazione? Nella Domenica di apertura del tempo quaresimale avevamo il deserto e Gesú tentato che vince il seduttore; oggi ci é offerto come il segreto di quella vittoria. Vuoi sapere come é dato ad una creatura di reggere alla sfida estenuante delle tentazioni? Ecco questo testo eccezionale sulla preghiera.
Cosa abbiamo alle spalle? Il deserto.
Cosa abbiamo all’orizzonte? La Croce.
In entrambi i casi, c’é lui, il nemico primo della creazione che si diverte nell’eterna provocante suggestione, dicendoci continuamente: “Amico, tu saresti un Figlio di Dio?”. Ma se sei figlio di Dio cosa fa tuo padre? Ti lascia solo nel deserto, con la fame? Poi ti fa salire su un legno d’infamia e di dolore come la croce? Se sei figlio di Dio deve proteggerti, salvarti, fare l’impossibile. Ma che figlio di Dio sei? Ma sei sicuro di essere figlio di Dio o é tutto un inganno? Si trattano forse cosí i figli? Che padre é?
Una prova sfibrante a cui solo la preghiera uno puó opporre come antidoto. Gesú sale sul Tabor portandosi gli intimi -piccolo inciso: questi sono i veri intimi e questa é intimitá, la compagnia nella preghiera- e fa compiere loro il passaggio dalla vita caotica verso la luce. In questa direzione perenne la preghiera fa crescere i figli, é un piccolo manuale “verso la luce”. Quasi: un libretto d’istruzioni per capire come siamo figli.
Uscire, salire, lasciare
L’idea é quella della vita umana come una cantina dove conosci le cose per impatto; c’é poca luce, sbatti, ti fai male e cosí, incidente dopo incidente, arrivi ad una certa saggezza del vivere e ad una certa esperienza. Diventi esperto a forza di botte. Possibile che non esista altra via? Possibile che si possa divenire esperti dell’esistere solo attraverso traumi?
C’é un’altra via. La preghiera. Ma chiede il tuo salire sul Tabor lasciandoti alle spalle il tuo panorama e andando verso la conoscenza del piú bello dei volti; il punto é lasciarsi alle spalle la concentrazione su di sé, quella cancerosa manía di credere che la vita funzioni quando ci perdiamo in continue analisi di noi stessi, nell’estenuante lavoro di introspezione. In questi ultimi decenni una deriva pericolosa lambisce la vita cristiana, sulla base di una interpretazione ambigua del biblico comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Si ragiona piú o meno cosí: nessuno puó amare l’altro se non ama anzitutto sé stesso e via...a impegnare tutta la vita in questa prima battuta del comandamento! In tal modo che ognuno continua a coltivare il suo egoismo di fondo, verniciato di religiositá e persino battezzato con citazione biblica.
La preghiera é anche questo: lasciare sé stessi e andare verso il Volto di Cristo che, piú sali piú é bello. Questo é la Trasfigurazione. Sali sul Tabor, lasciandoti guidare da Mosé e da Elia, il primo estensore della Legge e il secondo il piú grande dei profeti; cioé Sali sul Tabor con le Scritture. Sono le Scritture il libro che ti apre alla visione dell’opera di Dio, al lavoro della sua Provvidenza nella storia. Lí inizi a capire, a collegare, a interpretare e lentamente ti si chiarisce il Volto di Cristo, fino a incendiarsi. La Bibbia, con la sua luce puó portarti alla Luce e la luce di un momento puó reggere tutta una vita. Perché anche questa funzione assolve la preghiera: illuminare il cammino perché uno sappia cosa c’é in fondo alla strada.
Quando sai cosa ti aspetta, Chi ti aspetta e quanto é bello...la strada non ti fa piú paura, per dura che sia. Affronti tutto sapendo verso dove...
É bello per noi stare qui
É bello. Il Signore é bello. La visione che la Scrittura ci offre quando saliamo sul Tabor a pregare é bella. Piú Lui si rivela, piú é bello stare dove c’é Lui; vorrá dire qualcosa il fatto che i Santi hanno sprofondato nella preghiera trovandone gusto, non senza aver sudato.
Far sentire che é bello stare col Signore, che non é un peso o un dovere. Non so piú quanti genitori mi abbiano confidato tristi: “mio figlio ha abbandonato la Chiesa e la fede”. Molte volte mi verrebbe da rispondere: “Certo! Ti ha guardato”. Ci hanno guardato i nostri ragazzi, ci hanno trovato senza luce e non é scattata la molla del valerne la pena; per che cosa credere e stare nella Chiesa? Per essere cosí mediocri? Lo siamo giá senza la fede...
Sperimentare che il Signore é bello e che offre luce, quanta ne serve; farlo sperimentare. Purtroppo molto cristianesimo da tanti secoli, per reazione alla riforma luterana, ha creduto fosse giusto presentare un cristianesimo del fare, marcato da moralismi penosi: “il vero cristiano é colui che... non si puó essere cristiani senza... bisogna che il credente...”. E appena affiora una faccia nuova in chiesa la catturiamo: vieni a fare il catechista o suonare, entra in Caritas, dacci una mano. La derive delle opere, per reazione a Lutero che ne aveva sconfessato il valore. Tutto un cristianesimo del fare e del dover fare. No: anzitutto far sentire che é bello stare con Lui.
Chiaro ora il legame della preghiera con la tentazione?
Cercare il Signore. Salire sul Tabor. Pregare. Quando la tentazione arriva uno sa giá le risposte e passa l’esame. Non vale al contrario: arriva la tentazione e mi metto a pregare. Cercare il Signore prima. Il prima della preghiera.
Non é un caso che i vecchi padri spirituali consigliassero le prime ore dell’alba per la preghiera; é la prima cosa da mettere al sicuro, la prima provvista da fare, come il Signore Gesú raccontato nel Vangelo, solo, ritirato, di mattina molto presto.
padre Fabio, guanelliano