3-ORDINARIO-ANNO-CVANGELO DELLA DOMENICA

3ª Domenica del Tempo Ordinario – anno C
27 Gennaio 2013

“Restituitemi la mia Parola”

Ovviamente non esiste un Vangelo per i preti e un altro per i laici. Il Vangelo é per chi crede, prete o laico che sia. Ma questa Domenica viene suggestivamente presentata una scena del Vangelo di Luca che vede Gesú nel vivo di un atto di culto, che commenta la Parola di Dio durante una liturgia settimanale della Sinagoga.
Occasione eccezionale per riflettere sulla Parola di Dio e sulla sua portata, per chi la proclama e per chi la ascolta. Implicati in prima persona sono tutti coloro che hanno los stesso compito ogni settimana all’interno delle comunitá; per questo il pensiero mi é andato, istintivamente, a quel capolavoro di romanzo che é il Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos che si rivolge ai servitori della parola con un tono inquietante: “O preti, quando arriveremo di lá, vi chiederá una cosa sola: cosa avete fatto della mia Parola? E dirá restituitemi la mia Parola”.
La responsabilitá della sua Parola.

Il Vangelo viene dopo, che strano!

All’illustre Teofilo, che doveva essere un cristiano ‘di livello’... Luca dice di dedicare la stesura del suo Vangelo. E perché? Perchè si renda conto “della soliditá dell’insegnamento ricevuto”. Interessante: prima l’insegnamento e poi il Vangelo.
Il Vangelo viene dopo l’insegnamento; certo, perché il primo impatto di un credente non é col Vangelo, ma con la Chiesa che ha incontrato e che gli ha fatto vedere la sua fede; questo l’ha colpito. Poi verrá il Vangelo per dare ‘soliditá’. Ma poi.
Quanto é importante per noi questa piccola nota, per dirci che alla radice di ogni persona credente c’é un incontro, l’imbattersi in una realtá umana che ti convince di Cristo e della sua potenza. Poi ti metterai alla scuola del Vangelo per trovare e dare ragioni di quello che hai ‘visto, sentito, toccato, odorato, gustato’. Prima c’é l’incontro con una comunitá umana che per Gesú fa tutto e questo é il Vangelo vivente; poi leggi anche il Vangelo scritto.
Diceva Sant’Agostino che non sarebbe una grande tragedia se andassero distrutte tutte le Bibbie della terra: ci sarebbero sempre i cristiani per dire la gioia della vita portata da Gesú.
Anche nella vita delle nostre comunitá quanto conta l’impatto della gente con le persone! Non é un’accademia la Chiesa, non é una scuola, non é un centro culturale: é la famiglia dei discepoli di Gesú che vivono nella fede della salvezza da lui ricevuta, nella speranza del suo ritorno, nella caritá imparata alla sua scuola. Il primo libro con cui si annuncia l’amore di Dio é la vita fraterna delle nostre comunitá, se é vita e se é fraterna. Ció che muove il cuore é sempre un’esperienza. Teofilo ha incontrato prima quell’esperienza e ora Luca si accinge a scrivere per lui un raccornto ordinato, perché gli resti ‘stabile’ quanto ha esperimentato.

La predica di Gesú

Finalmente la predica del Signore nella Sinagoga.
Molti mettono l’accento sulla sua sorprendente brevitá, ma sarebbe un rilievo banale, perché Luca dice che inizió a dire.... Inizió. Quella frase riportata é solo l’avvio della sua predica. Non ci aiuta molto sapere se Gesú era breve o lungo nelle prediche, ma é fondamentale sapere che “gli occhi di tutti erano fissi su di lui”: coinvolgimento, attenzione, partecipazione...
Quello che é decisivo é costituito dall’attualizzazione: Gesú legge un testo di Isaia che parla del motivo della venuta del Messia e del suo regalo migliore, un Giubileo divino in cui tutto appare davvero nuovo e travolgente. L’annuncio delle preferenze di Dio per i poveri, l’abbono totale delle colpe davanti a Dio e ai fratelli, l’illuminazione dei ciechi, la remissione ai pentiti. Questo é il nucleo di ogni predica: se non mette al centro questo annuncio non dice nulla, qualunque sia la pagina in questione.
Quella di Gesú a Nazareth non é ‘una’ predica, ma ‘la’ predica. Se non dice ‘oggi’ e se non parla di mondi capovolti in cui i poveri stanno al primo posto e ai falliti si regalano fiducia e perdono, non dice.
Prediche che cercano il concetto, il valore, l’elemento astratto sono fuori bersaglio e giustamente sono il momento piú temuto dai nostri fedeli: spesso non si sa di cosa si parlerá, come lo si presenterá, quanto durerá, chi andrá a colpire...si sa solo che prima o poi finirá, con un generale senso di sollievo. Tanto che il card. Congar giá alla fine degli anni ’60 si stupiva che “nonostante 30.000 prediche domenicali la Francia é ancora un paese cattolico”.
Avviene sempre o quasi lo scivolone per cui a un certo punto il predicatore sente di dover passare all’esortazione moraleggiante, con la sua serie di “dovremmo, un vero cristiano dovrebbe, i cristiani coerenti sono quellli che, la fede ci insegna...”, quella sorta di moralismo slavato che invita le persone a fare cose per le quali non hanno la forza o la voglia. L’omelia dovrebbe incantare e innamorare sugli stili di Dio e quando uno é preso non ha bisogno che gli si dica: “fai questo” o “fai quello”. Gli viene naturale, lo segue per intuito.
Regola del predicatore é l’autenticitá, perché se una cosa é forzata e artificiale puzza a distanza; compito della predica é che chi ascolta esca con una chiave per vivere meglio, essendosi reso conto di quanto é bella la vita cristiana e avendo capito che un amico di Gesú ha sempre una cosa bella da fare nel mondo e questa cosa é il suo compito. Ma lo ha capito lui, non glielo hai detto tu. E lo ha capito avendo gli occhi ‘fissi’ su Gesú.
Chi predica é portatore di un fuoco interiore, al quale poco servono le tecniche; lo dico perché sará pure utile studiare qualche strategia di comunicazione, ma la fede é un fuoco acceso dentro che tenta di accenderne altri. Con tutte le tecniche del mondo, se quel fuoco c’é, bene; altrimenti sará difficile sostituirlo...

padre Fabio, guanelliano