Le vicende di casa Guanella, nell’arco di meno di un secolo, possono dare una conoscenza tipica della situazione politica, sociale, economica, religiosa delle vallate alpine di Chiavenna e Sondrio.
Nonno Tomaso Guanella era nato svizzero sotto la dominazione dei Grigioni; il figlio Lorenzo – il padre di don Luigi – era nato al tempo della repubblica cisalpina del francese Napoleone; i figli come Luigi e gli altri erano nati austriaci, eccetto il penultimo Gaudenzio, nato nel 1849 in una pausa tumultuosa di liberta italiana; l’ultimo doveva essere ancora austriaco, e, essendo morto infante, non poté vedere la chiusura di quel ciclo di dominazioni o di annessioni straniere, con la raggiunta indipendenza del 1859. I nipoti infine nascevano italiani.
È raro che in una famiglia capiti che quattro generazioni successive nascano sotto il segno di altrettante bandiere di nazioni diverse; e può spiegare fra l’altro perché in quelle valli prossime al confine il sentimento dell’unita nazionale non fosse molto sentito, anzi spesso lo si vedesse con un certo sospetto, come una trama di pochi alle spalle della volontà della maggioranza.
Nonno Tomaso dei Guanella, chiamati a Fraciscio col soprannome di Carafa, perché cinquant’anni prima l’antenato aveva servito per vari anni il card. Pierluigi Carafa, a Roma, era nato nel 1777; Lorenzo il figlio maggiore di quattro fratelli, nato nel 1800, sposò una giovanissima contadina del piano di Samolaco: dolce di carattere lei, quanto austero era il marito, serio e autoritario, primo deputato e sindaco di Campodolcino per 24 anni.
La dote trasmessa ai figli era un certo distacco dalla terra, dura e avara a quell’altitudine delle Alpi Retiche di 1350 metri sul mare, una gran voglia di lavorare senza esaurirla mai e un senso morale e religioso profondo; per il resto gran povertà, ma dignitosa e sempre capace di avanzare qualcosa per gli altri, correttezza morale, rispetto dovunque si fosse andati a finire. Due fratelli di pa’ Lorenzo partirono uno dopo l’altro alla ricerca di terre più accoglienti e generose: Tomaso andò prima qualche tempo in Inghilterra, a Bristol, poi passò nell’America del Nord; più tardi anche Maria Orsola partì per l’America. Don Guanella non conobbe mai lo zio Tomaso, vide invece zia Orsola partire per gli Usa nel 1850; egli aveva otto anni e gli rimase un ricordo incancellabile di quella dolorosa partenza di emigranti.
In realtà la terra già arida aveva a carico troppe braccia e troppe bocche: pa’ Lorenzo ebbe 13 figli; la primogenita Maria Orsola sposò uno Sterlocchi ed ebbe 14 figli; almeno 6 ne ebbe il secondo, 7 la terza figlia Maria Rosa e cosìi di seguito; alla morte di don Guanella il notaio contava 32 nipoti viventi come eventuali aspiranti alla parte di eredità di poveri e di case indebitate lasciate alle sue congregazioni.
Un’espansione demografica imprevista gonfiò enormemente le piccole e malridotte case di tanti paesi che si andarono riempiendo di bambini e di problemi. In valle Savogno, a metà secolo, contava 380 abitanti, Olmo 370 e altri ancora; adesso alcuni sono paesi-ricordo, senza più nessun abitante, appunto come Savogno, la prima parrocchia di don Guanella, come tanti altri della valle rimasti vuoti o quasi: allora vi campavano come potevano a centinaia, su pochi pascoli e boschi, con qualche animale nella stalla o sui prati a rincorrere quella poca erba che s’abbassava o si alzava lungo i pendii secondo le stagioni.
L’Austria, tra il 1819 e il 1821, costruì la strada dello Spluga, per uso militare, per trasporto delle merci e anche delle tasse raccolte nella ricca Lombardia; per molti divenne anche la via della speranza, emigrando, stagionalmente verso la Svizzera o verso la pianura o definitivamente verso la Francia, l’Inghilterra o oltre oceano, come appunto gli zii di don Guanella: Tomaso e Maria Orsola. Ma anche così la vita non era facile; Tomaso junior scriveva al padre da Bristol verso il 1830: «Farete sapere al signor Battista Gilardi e Antonio Levi che in questi paesi la sia molto male i mestieri: chi usava portare dietro [guadagnare] cinque o sei ponti [pounds: sterline] per settimana, adesso non portano dietro due o tre: più male non potrebbe andare; per questo sarà molto meglio che stanno a casa sua». E qualche mese dopo: «Nelli affari di commercio nel presente vanno molto male, malissimamente, che non si può guadagnare niente, che tutti li taliani vanno via chi va nella sua patria chi va nella Merica e tutti li altri forestieri fanno il simile; ma in breve tempo speriamo che la si volterà meglio, perché così non può sussistere». Invece dovette andarsene anche lui in America.
Oltre alla gran voglia di lavorare si portavano assieme il senso morale e religioso profondo attinto alla famiglia. Nonno Tomaso, un tipo metodico e attento, oltre al resto, che conservava con cura le lettere del figlio e vi univa copia di quelle che egli stesso inviava al figlio lontano, non cessava di fare raccomandazioni: «Vi raccomando la pace con tutti e il santo timor di Dio, frequenti nelle orazioni e con gli atti di fede, operando per amor di Dio il tutto e vivendo da boni cristiani si può facilmente sperare nella prosperità e fortuna spirituali e, se Dio vorrà, anche temporale». E il figlio gli risponde, commentando la notizia della morte di un caro amico: «Molto mi rincresce che sia passato da questa ad altra vita il povero Michele, altro non so fare che pregare il Signore per lui che speriamo sia a bon riposo a pregare il Signore per noi e aspettare noi e noi procureremo di stare sempre ben preparati che in breve tempo si avvicina la morte pregheremo il Signore che possiamo fare una bona morte».
E qualche tempo dopo Tomaso junior comunica al padre Tomaso che s’e fatta la fidanzata, una brava ragazza emigrata dal Veneto e, poi, che se l’è sposata e il padre gli risponde con un discorso sui nuovi doveri che gli incombono e conclude: «Peraltro tu ben sai che quello che ti ho sempre raccomandato sopra ogni cosa fu la pace con Dio e per averla con Dio necessariamente si deve averla col prossimo e molto più con quelle persone con cui si deve vivere insieme in famiglia; per ciò fare è necessario l’umiltà e la pazienza, l’uno con l’altro compatirsi perché del più o del meno tutti abbiamo difetti... E nel nome della SS. Trinità col segno della S. Croce vi benedico e similmente la tua madre».
II figlio lontano altre volte si era lamentato di non ricevere mai uno scritto del fratello maggiore Lorenzo – il pa’ Lorenzo di don Guanella –; sapendo che, egli pure sposato, continuava a vivere nella casa paterna, se ne dichiarava contento e gli raccomandava di conservarsi sempre unito al padre. Lorenzo, da parte sua, badava a tirar avanti la famiglia, che diventava sempre più numerosa, e si allargava comprando pascoli in Gualdera. Nel 1835 i figli erano già cinque e un sesto era in arrivo; consigliato dal padre stesso, si staccò dalla casa paterna e mise su casa in proprio, la casa natale di don Guanella, sul cui ingresso figura la data di costruzione: L. 1835 G. (Lorenzo Guanella); il fratello gli scrive indignato e allora anche Lorenzo prende la penna e scrive: «Ho ricevuto un poco di rimprovero in una tua lettera perché mi separai dal nostro padre e madre, ma nemmeno questo lo avrei fatto se il padre non me lo avesse consigliato: in altra lettera ti farò sapere in chiaro il mio stato; dunque pensiamo che se dovessimo subito morire o anche scampare lungo tempo non sia mai vero che un fratello deve essere sdegnato contro l’altro e perciò in qualunque maniera ti posso aver offeso di cuore ti domando perdono che il simile farò io con te più che mai sia possibile per l’anima e per il corpo, protestandomi di raccomandarti a Dio nelle mie deboli orazioni e con Dio ti lascio. Lorenzo Guanella».