Un’umile innalzata: Chiara Bosatta
Alle sei di sera di Mercoledí 20 Aprile 1887, nella casa parrocchiale di Pianello Lario, in frazione Calozzo accanto alla Chiesa di San Martino, moriva suor Chiara Bosatta, la prima delle figlie spirituali di don Guanella.
Aveva ventotto anni e aveva espresso un solo desiderio: andare verso la morte ricevendo frequentemente l’Eucaristia; cosí fu la prima e l’ultima guanelliana che morí, inusualmente, in quella che era la casa del Parroco. Chi l’avrebbe mai detto che le mura antiche di quella pieve, risalente almeno all’anno mille, avrebbero ospitato ben due santi nella stessa stagione?
Era, in apparenza, la fine oscura di una ragazza qualunque, abbastanza ignorata. Una vita vissuta lontano dalla fama, dalla gente in vista, dagli avvenimenti straordinari della storia. Vita e morte senza risonanze particolari.
Ma perché, allora, siamo qui ancora centoventisei anni dopo a ricordare una figura di ragazza per nulla straordinaria, malaticcia e anche un po’ complicata nella sua timida personalitá? Se il mondo che fu il suo la consideró senza interesse e senza gloria perché rintracciarne ancora profumi forse svaniti?
Ci guida sempre la luce di quel Dio che si diverte a fare cose grandi nelle creature piccole, testardamente incline a innalzare gli umili.
Ci fidiamo anche degli occhi di don Guanella che quando si trovó a scrivere di Chiara sul registro di morte lasció una frase da brivido: “non macchió mai la sua veste battesimale”. E parlava senza retorica, senza gonfiature, essendone il confessore.
Infine ci rassicura la Chiesa che un ventennio fa, sotto le vesti dimesse di quella popolana, ha ravvisato una principessa del regno dei cieli e nelle poche parole uscite dalla sua bocca o dalla sua penna nel breve spazio del suo cammino terreno ha raccolto un’eccezionale scuola per allenare altri all’amore di Dio.
Azzardato ridurre Chiara in una pagina, in un’omelia, dietro qualche slogan. Probabilmente é piú saggio cercare frammenti e iniziare a metterli fuori senza la smania delle sintesi. Tenterei con due piccoli, iniziali pensieri:
- il segreto di tutto
- le conseguenze immediate
Il segreto di una vita
Chiara non aveva molto: giovane in un mondo in cui decidevano solo gli adulti; donna in un mondo dove in molte cose contavano solo gli uomini; da sempre un po’ malata in un mondo dove solo all’efficienza si presta attenzione; confinata in un paese del Lario dove non passava la storia. Era difficile radunare condizioni piú sfavorevoli di queste per chi avesse voluto intraprendere qualcosa di speciale.
Uno studio attento del suo percorso umano e delle sue lettere che ci restano metterebbe in luce una personalitá abbastanza articolata, tendente all’introversione, ricca di un forte corredo emozionale e incline a rapportarsi alla realtá soprattutto attraverso l’intuizione e l’empatia. Davvero spiccato in lei é il senso degli altri, che cresce a dismisura fino all’immolazione, per via della sua capacitá naturale di sentire le cose dentro che le permette di mettersi realmente nei panni altrui andando verso le persone, ma anche di portare le stesse dentro di sé, nel proprio mondo.
Chiara non aveva molto. Aveva la fede.
E la fede ha sprigionato in lei un’energia incredibile, che molto spiega della sua passione di donna e di suora, in un corpo fragile. Un vero prodigio che questa ragazza cresciuta stentatamente lungo l’argine del Lago di Como, dimessa dalle suore canossiane che la valutarono inadatta, abbia avuto cosí acuto il senso di Dio.
Il segreto del suo cammino: Dio, la sua casa, la sua compagnia. Muore ripetendo litanicamente l’unica parola che conta in ogni cammino cristiano: Paradiso, Paradiso. Non si capisce Chiara se non in questa luce trasversale che ci apre un piccolo pertugio della sua anima dove vive una teologia germinale, eppure completa, equilibrata, nata non dai libri ma dall’intelligenza amorosa di un cuore credente. Paradiso era stato per lei l’Eucaristia, perché questo é il Paradiso, stare con Gesú: non importa se sei capita e valorizzata, al centro o ai margini.
Cosa aveva potuto trasformare un luogo amaro, durissimo, povero, irto di complicazioni come la casa madre guanelliana di Como agli inizi, in un’anticamera del Paradiso? Lo stare con Cristo. Cosa poteva trasformare il letto di una malata di tisi, con le labbra aride e screpolate, in preda a dolori lancinanti, spesso sprofondata in deliqui vertiginosi, in un anticipo del regno? La comunione frequente.
Eccolo l’impulso segreto, inesauribile e decisivo per tutti i prodigi di quella vita deliziosa che ha conosciuto imprese audaci, superiori alle sue forze. Per questo la missione di Chiara tra le sue consorelle e tra i poveri fu amore: veniva da Dio, per Lui e con Lui si sporgeva nelle vite altrui. Dove Dio sia solo un’idea, c’é il rischio della vita arida e impietosa, in cui nessuno é veramente amato, anche quando fosse servito. L’acuto senso di Dio salva ogni nostra azione dall’esibizionismo e dalla funzionalitá: le cose si fanno per amore, non per realizzarsi e neppure per mera necessitá, perché qualcuno deve pur farlo...
Le conseguenze
Interessantissimo per studiare Chiara sarebbe un manoscritto inedito e anche abbastanza oscuro che don Guanella aveva iniziato a comporre per tramandarci l’avventura dei primi gioielli di famiglia. Un manoscritto dal titolo luminoso: “Fedeli compagne”, che raccontava delle sue prime suore vissute e morte santamente.
Tutte furono seguaci di Chiara. Tutte volevano essere un’altra Chiara.
Cioé la conseguenza del fenomeno Chiara fu per la giovane congregazione una molla straordinaria contro la mediocritá, perché quello era un tempo in cui molti cercavano la vita religiosa per mettersi al riparo o per sopravvivere, come una garanzia, come una protezione, come una tana. Chiara no. E tutte furono folgorate dalla sua scia.
Avevano capito che non solo Dio si era rispecchiato in quella piccola ragazza, ma anche don Guanella vi era come rimasto incantato. Chiara agli occhi di don Luigi era apparsa come la riuscita del suo progetto; il colore, il tono, lo stile espressi erano la religiosa guanelliana cosí come l’aveva sognata nei suoi lunghi colloqui con il Signore Gesú, sintesi mirabile di numerosi incontri, tutti bellissimi eppure nessuno convincente. La componente mistica della laboriositá cottolenghina sí, come la disinvolta e cordiale spontaneitá salesiana, o la nuda e affascinante sobrietá francescana. Ma erano nichhie troppo larghe o troppo strette. In Chiara vide stampata l’immagine della consacrata che egli portava nel cuore da sempre: la donna tutta di Dio, che non fa troppo calcolo della vita, per amare il Crocifisso nei crocifissi, obbediente perché grata, con l’orrore vero di quell’abisso che é il peccato, che sa vivere di quanto basta, a volte anche meno. Gioiosa nella sua offerta, viva, libera, adulta, spigliata, autonoma di quell’autonomia che é frutto dello Spirito e che marca la differenza.
L’effetto Chiara per le prime suore guanelliane fu un tornado di grazia: dopo di lei o si era santi o non si era. Un inno all’eccellenza e alla pregiatezza, per fare della propria vita un capolavoro nelle mani di Dio.
Contro tanto piattume dentro e fuori di noi oggi sale a Dio il nostro grazie; con una promessa che prende le distanze dall’infezione generale del mondo, la mediocritá. La quale appena scorge un genio o un santo lo bolla, lo isola, lo annulla. E senza saperlo lo canonizza, perché quella follia é l’unica capace di fare miracoli.
Chiara, folle per Gesú, aprí un sentiero di santi, quasi un concorso.
Le toccó essere una primizia, in anticipo, singolarissima. Anche a morire.
Ma fu grazia.
padre Fabio Pallotta, guanelliano