Chiunque altro di noi nel dire: “non ce la faccio più” avvertirebbe una specie di fallimento. Nella parola con cui il Papa ha detto: non ce la faccio più, c’era invece la seria ma quieta serenità di chi sa che la forza non è la sua
Davide Rondoni
Un segno di forza. Nella debolezza. Questo è la dimissione di Benedetto XVI. Che a tanti sta spaccando il cuore di pianto e di gratitudine. Come fu sul Golgota. Quando il grido del grande sperdimento – Dio mio perché mi hai abbandonato! – era il grido dell’inizio di un Salmo di vittoria (il 22, come ha ricordato il Papa stesso nei suoi libri su Gesù).
Ora anche nel Papa che si dimette perché non ha forze sufficienti (è un tedesco, ricordiamolo: un certo amore per l’efficienza…) c’è il grido di smarrito affidamento, di povera ma dura fiducia in una forza più grande. Che non è solo quella di Dio, per così dire, ma quella della Chiesa, del Suo corpo ferito e martoriato in terra. Ha detto “non ce la faccio più”. Come chiunque di noi di fronte a cose che sovrastano – e la vita ne è piena. Non ce la faccio più, ha detto l’uomo rivestito più di ogni altro di “potere”. E noi ci siamo sentiti tutti più soli. Perché grande è stata la sua amicizia gentile e tenace. Più soli ma anche, dopo un istante, più forti e meno soli.
Chiunque altro di noi nel dire: “non ce la faccio più” avvertirebbe una specie di fallimento, di smarrimento. Nella parola con cui il Papa ha detto: non ce la faccio più, c’era invece la seria ma quieta serenità di chi sa che la forza non è la sua. La forza che governa la Chiesa, che la fa camminare nella storia non coincide con quella di coloro che la guidano.
Vale per il Papa, come per chiunque ha responsabilità nella Chiesa. Lo si era già visto nella tremenda e dolcissima icona del papa suo amico e predecessore. Lo sfinimento di Giovanni Paolo II che ci era stato da lui stesso offerto come segno, arriva nel suo amico e successore a una forma ancora più umiliante, per così dire, meno “appariscente”. Ma con un nitore micidiale. Una semplicità esplosiva. Una umiliazione più nascosta. Una luce radiante.
Le dimissioni del Papa. Quale gesto più controcorrente in un mondo affamato di potere, di esserci, di connettersi, di presenzialismo, di egoismo che lega a noi stessi i destini delle cose, delle situazioni, del mondo intero? Come se il mondo piccolo o grande della nostra vita stesse in piedi perché ci sono io… E il Papa invece si dimette, si fa indietro, crea un vuoto. Che è solo vuoto? O forse è spazio dove si veda – anche solo per un abbagliante attimo – di Chi è veramente la forza. Di Chi è la Chiesa. Di Chi il mondo. La forza è sempre stato il vero problema degli uomini. Dov’è la tua forza, da dove viene ? E’ la domanda che si sentono rivolgere gli eroi di miti e leggende, di grandi favole. Ed è la domanda che ogni tanto il buio ci rivolge. O lo specchio o il silenzio. Quando arrivano le ferite, quando arriva la prova, o l’abbandono, ecco, da dove ti viene la forza? E per cosa la usi? Il mite e tenace Benedetto XVI anche in questo gesto stupefacente e gentile ha mostrato da dove viene la sua e per cosa l’ha impiegata. La forza sia con te, dicevano i personaggi di un famoso film. Riecheggiavano qualcosa di simile a quel che disse un oscuro Nazareno ai suoi amici, quando vedendoli smarriti e paurosi, diceva “Non abbiate paura, io sono con voi.”
Articolo del 12 Febbraio 2013 di Davide Rondoni http://www.tempi.it